LA VITA DAVANTI A SÉ

La Vita Davanti a Sé

dal romanzo La Vie Devant Soi (1975)
di Romain Gary (Emile Ajar)
edizione italiana Neri Pozza 2005

Regia e riduzione Silvio Orlando
Direzione musicale Simone Campa
Musiche di scena Simone Campa
Scene Roberto Crea
Disegno luci Valerio Peroni

Produzione 2017 Fondazione Circolo dei Lettori di Torino
Produzione 2020 Cardellino srl

con
Silvio Orlando
Ensemble Orchestra Terra Madre

musicisti coinvolti dal 2017 al 2023

Simone Campa chitarra battente, tamburi etnici, glockenspiel,
rullante, kalimba, klangschalen, effetti sonori

Roby Avena fisarmonica
Gianpiero Nitti fisarmonica
Niccolò Bosio fisarmonica
Maurizio Pala fisarmonica
Roberto Napoletano fisarmonica

Cheikh Fall voce, kora, djembe
Kaw Sissoko voce, kora, djembe

Simone Arlorio clarinetto, sax contralto
Leonardo Enrici Baion
clarinetto, sax contralto
Gianni Denitto
clarinetto, sax contralto
Diego Mascherpa
clarinetto, sax contralto
Marco Tardito clarinetto, sax contralto

Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell’immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa. 

Stenio Solinas

Momò, dieci anni e molta vita davanti, vive a pensione da Madame Rosa, ex prostituta ebrea «con più chiappe e seni di chiunque altro» che ora sbarca il lunario prendendosi cura degli “incidenti sul lavoro” delle colleghe più giovani. Intorno a lui la variopinta, vitalissima e a volte disperata sarabanda del quartiere di Belleville, tra spazzini mangiafuoco e transessuali campioni di boxe, ruffiani cardiopatici e traslocatori di anziani moribondi, esorcismi tribali, vite che vanno alla rovescia e un’improbabile storia d’amore toccata dalla grazia.

Per realizzare teatralmente la versione di un libro il cui autore vinse il premio Goncourt sotto falsa identità (perché ne aveva già vinto uno in precedenza), la bravura di Orlando ha potuto saldarsi a quella del gruppo di musicisti che, appartenenti all’𝐎𝐫𝐜𝐡𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐌𝐚𝐝𝐫𝐞, si sono raccolti per l’occasione come Ensemble diretto da 𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐚 e hanno portato all’orecchio degli spettatori arie parigine 𝑎̀ 𝑙𝑎 𝑚𝑢𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒, arrangiamenti pop degli anni Sessanta, ma anche musiche etniche, arabe, ebree, klezmer, fino a suoni e parole del griot senegalese Kaw Sissoko.

 

Pietro Caruso, Romagna in Scena
18 aprile 2022

Silvio Orlando
Attore tra i più apprezzati da pubblico e critica, ha lavorato con registi come Pupi Avati, Nanni Moretti, Carlo Virzì, Carlo Mazzacurati, Gabriele Salvatores e ricevuto numerosi premi, tra cui due David di Donatello e due Nastri d’Argento. Recentemente ha interpretato il cardinale Voiello, machiavellico antagonista di Jude Law nella serie tv The Young Pope diretta da Paolo Sorrentino.

Silvio Orlando ha ricavato uno spettacolo ch’è un piccolo, raffinato gioiello, poiché fissa la tenerezza poetica nel castone di una risentita, ma mai paludata (e anzi, a tratti persino ironica), riflessione sulle diseguaglianze indotte dal capitalismo fra le razze e gl’individui. E assolutamente in linea con la regia, risultano la scena di Roberto Crea (un’alta torre tutta scale e sporgenze e rientranze disordinate e instabili, a significare la precarietà della vita in quel palazzone di Belleville) e la colonna sonora a cura di Simone Campa (un mélange di musica kletzmer, celebri canzoni francesi e ritmi africani, a significare il coro delle mille «voci» di quell’alveare).

Enrico Fiore, Controscena.net
10 dicembre 2021

“Il genio di Gary ha anticipato senza facili ideologie e sbrigative soluzioni il tema dei temi contemporaneo, vale a dire la convivenza tra culture religioni e stili di vita diversi”.  Il teatro può raccontare storie emozionanti commoventi divertenti, chiamare per nome individui che ci appaiono massa indistinta e angosciante. Le ultime parole di Gary dovrebbero essere una bussola: “bisogna voler bene”. A evocare l’atmosfera multietnica della vicenda, i ritmi ancestrali della colonna sonora di Simone Campa sottolineano emozioni e malinconiche suggestioni con l’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre (aperta a collaborazioni con musicisti di ogni tradizione per promuovere tutte le radici cultural) fino all’happening finale in cui si aggiunge l’attore a suonare il flauto: Simone Campa alla chitarra battente e percussioni, Gianni Denitto al clarinetto e sax, Maurizio Pala alla fisarmonica e Kaw Sissoko a kora e djembe.


Luigi De Rosa, Positano News
14 marzo 2022

Perché la Parigi multietnica degli anni ’70 di Romain Gary è più attuale che mai
Quando uscì, per la prima volta in Francia, “La vie devant soi” era il 1975 e, nel giro di poche settimane, divenne un caso editoriale fino a vincere il Prix Goncourt, il più importante premio letterario francese. Del suo autore, un tale Émile Ajar, si sapeva poco o nulla e soltanto in seguito si scoprì che, in realtà, dietro quel nome si celava Romain Gary, un autore snobbato e disprezzato dai critici che lo consideravano al capolinea. Gary era a sua volta lo pseudonimo di Romain Kacev (1914-1980), un ex eroe di guerra, emigrato russo in Francia all’età di 13 anni e autore di diversi romanzi, primo fra tutti “Educazione europea”, il miglior testo sulla resistenza secondo Jean-Paul Sartre. Un gioco di nomi, una presa in giro che portò ad una grande confusione risoltasi solo alla sua morte, avvenuta per sua volontà (con un colpo di pistola in testa) nel 1980 nella casa parigina in Rue du Bac, dopo che la sua ex compagna – Jean Seberg, l’attrice protagonista della Nouvelle Vague – si era tolta la vita pochi mesi prima. Gary/Kacev aveva nel frattempo già vinto un Goncourt con “Le radici del cielo” e se riuscì a vincerlo una seconda volta, fu solo grazie a quell’escamotage.

 

Giuseppe Fantasia, HuffPost Italia
20 dicembre 2018

Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano.

Osvaldo Guerrieri, La Stampa
22 settembre 2017

 

La colonna sonora di Simone Campa
Partendo dall’ambientazione di una Parigi romantica e retrò del romanzo, e unendola all’atmosfera multietnica del quartiere di Belleville, Simone Campa crea una colonna sonora ricca e suggestiva che richiama perfettamente sensazioni, sentimenti e situazioni che Momò, il giovane protagonista, vive e racconta. Insieme alle sue formazioni multietniche Belleville Ensemble (2017) con musicisti da Senegal, Marocco, Francia e Italia e l’Orchestra Terra Madre (2020), progetto msuciale di dialogo interculturale fondato nel 2014 con Carlo Petrini di Slow Food, lo spettatore viene di volta in volta accompagnato in scene musicali di terre lontane e riti voodoo, con percussioni e voci africane; passeggiate sotto la Tour Eiffel accompagnate dalla fisarmonica, con valse e chansonnes francesi; echi di medioriente con musiche e ritmi arabi. Irrefrenabili ed entusiasmanti i momenti di malinconica gioiosità della musica yiddish e klezmer, tipica degli ebrei dell’Europa orientale. Molto suggestivi inoltre i commenti sonori e le didascalie rumoristiche, tra cui musiche di circo e di carillon sospesi nel tempo, effetti sonori per la sala di doppiaggio di un vecchio cinematografo.

Un grande artista della levatura di Silvio Orlando non si esprime solo attraverso la recitazione ma anche nelle scelte di regia e di costruzione dello spettacolo. Ed è per questo che ha deciso di affidare a Simone Campa la direzione musicale dell’opera e di circondarsi di quattro musicisti straordinari e generosi sia nell’esecuzione che nell’interpretazione, così bravi che la musica, nelle loro mani, diventa trama, ricamo, filo che imbastisce e cuce il tessuto narrativo. Intermezzi che partecipano del racconto, in un ritmo osmotico con le parole, parentesi mai invasive, rispettose del testo, sebbene di musica straripante si tratta, di sonorità etniche, circensi, echi di un’armonia rom, zingara, randagia come i giorni del piccolo Momò. Non accompagnamento, non sfondo, non “horror vacui” che va riempito e nemmeno arzigogolo o  belletto  o infiorettatura o pleonasmo, ma sostegno di architrave, fondamenta dell’edificio narrativo. Tribalità di tamburo, nostalgia di arpeggio di chitarra, melanconia sacra di fisarmonica, suono acuto – quasi grido che làncina –  di sassofono e rabbia argentina e limpida come acqua sorgiva della Kora mandinga che s’impone con la sua armonia d’arpa. E Silvio Orlando lo sa, lo sa benissimo perché conclude lo spettacolo suonando insieme ai suoi musicisti, in un momento gioioso, trascinante, con una musica che è un climax inarrestabile circuitante e derviscio. La  musica altra, che entra nello spettacolo, attraverso le note sputate da un mangiadischi arancione, è quella di Francoise Hardy che canta il suo famoso “Comment te dire adieu”.
Appunto: come si fa a dire addio a tanta bellezza.

 

Marilina Giaquinta, La Sicilia
23 febbraio 2023

Romain Gary
Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo.
Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L’anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui.
Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire.

Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.
A trent’anni di distanza dalla sua prima edizione, la Biblioteca Neri Pozza pubblica questo capolavoro della letteratura francese contemporanea.

È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l’esistenza è vista e raccontata con l’innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».

C’è un solo attore in scena, Silvio Orlando che sa affascinare il pubblico passando dal solipsismo all’irruenza. Dialoga con un ombrello trasformato in feticcio. Si fa poi risucchiare nel vortice dell’accompagnamento sonoro di Simone Campa con l’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre (Campa a chitarra battente e percussioni, Gianni Denitto a clarinetto e sax, Maurizio Pala fisarmonica, Cheikh Fall e Kaw Sissoko kora e djembe), gruppo polistrumentale che celebra l’incontro multietnico attraverso i suoni: musiche mediterranee, ritmi nordafricani, tamburi senegalesi, atmosfere yiddish. Sorridiamo. Ci commoviamo catapultati, grazie all’orchestra, in una casba algerina o nella banlieue parigina. Fra desideri e inibizioni irrompe la poesia, quella del testo, degli sguardi, della musica.

GALLERY E AUDIO

Ascolta Audio

Ascolta Audio

Teatro Carignano, Torino
TORINO SPIRITUALITÁ 2017

GALLERY E AUDIO

Ascolta Audio

Ascolta Audio

Teatro Carignano, Torino
TORINO SPIRITUALITÁ 2017

2018
Museo delle Scienze, Milano
MILANO BOOK CITY

RADIO TRE RAI
MATERADIO 2018
Matera Capitale Europea della Cultura

La Stampa

22 settembre 2017

una recensione di
Osvaldo Guerrieri

Se poi aggiungiamo i suoni e le musiche di Simone Campa e del suo travolgente Belleville Quartet, la suggestione è completa, con definitivo gradimento del pubblico che ieri sera gremiva il Carignano

Il bello di Silvio Orlando è che resta Silvio Orlando qualunque cosa faccia. A volte è un vantaggio. Prendiamo la sua partecipazione a Torino Spiritualità con il romanzo “La vita davanti a sé” di Romain Gary. Dovremmo essere a Parigi nel dopoguerra, dovremmo trovarci nel quartiere di Belleville, e cioè in una periferia piena di razze, colori, lingue, religioni, ma con Orlando, con il suo modo di essere e di recitare, questa Parigi arcobaleno diventa Mediterraneo, suk, Napoli.
Certo il romanzo è straordinariamente bello. E questo aiuta. Gary è uno scrittore di alta levatura. Non a caso l’editore Neri Pozza ne sta pubblicando l’intera produzione o quasi. Quando scrisse “La vita davanti a sé” in Francia era dato per finito. Ma lui sorprese tutti vincendo per la seconda volta il Goncourt. Fu un caso unico nella storia. Per statuto non si può vincere quel premio due volte. Ma, all’insaputa di tutti, persino del proprio editore, Gary vi partecipò con lo pseudonimo di Emile Ajar. La verità fu scoperta dopo la morte per suicidio avvenuta ne 1980: un colpo di pistola al cuore sulla vestaglia rossa affinché non si vedesse il sangue. Protagonista di “La vita davanti a sé” è Momo, un bambino di dieci anni allevato e cresciuto da Madame Rosa, una ex prostituta ebrea di novanta chili e con pochissimi capelli in testa che, in cambio di un mensile che non sempre arriva, fa da mamma a una decina di bambini figli anch’essi di prostitute. Per la legge francese alle prostitute era vietato crescere figli, ecco il motivo di quel singolare, vociante, litigioso, piscioso ospizio infantile, una famiglia in cui si mescolano cristiani, ebrei, musulmani. Madame Rosa è malatissima.

Conserva sotto il letto una fotografia di Hitler e nei momenti in cui è particolarmente giù di corda le basta darle un’occhiata per ricordarsi a che cosa è scampata e per sentirsi allegra. Accanto a lei Momo scopre il mondo che gli sta intorno e che sembra privo di padri, poiché, per definizione, i figli delle prostitute non hanno un padre. In questo universo femminile fanno eccezione il signor Hamil, un vecchio venditore di tappeti musulmano che insegna a Momo tutto quello che sa, e quello strano ibrido di Madame Lola, un senegalese che adesso è un trans e prima era stato un campione di boxe. E’ in questo circo di razze e di lingue che Momo scopre l’amore: l’unico sentimento che giustifica il vivere. Il racconto è lieve, poetico, realistico e ha punte di soave umorismo; ritrae i personaggi con mano altrettanto lieve e felice e Silvio Orlando sembra nuotarvi come dentro un mare felice. Tecnicamente il suo è un reading: e cioè leggio, fogli, lettura e via andare. In realtà non è così. Fin dalle prime battute, malgrado il leggio, le sedie, i fogli, le bottigliette d’acqua sparse sul pavimento, Orlando fa capire che quel personaggio e quelle parole gli si sono impigliati dentro, si sono fusi con lui, e perciò li vive, gli dà corpo e anima, vi distilla umorismo e dolcezza. E non c’è niente di male se sullo sfondo e nelle sfumature ti fa balenare Napoli. Del resto lo sanno tutti che Napoli è il mondo e il mondo è Napoli.

LA VITA DAVANTI A SÉ

Neri Pozza Editore

libro

Un romanzo toccato dalla grazia.

Stenio Solinas

Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo.

Gary scrive in una lingua chiara, aerea, energica, come in certe pagine di Hemingway…

Jérôme Garcin
, Dictionnaire de la littérature française du 20ème siècle

Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L’anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l’attrice americana, l’adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui.

Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes , vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d’Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l’inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary.

 I romanzi irresistibili sono rari.
La vita davanti a sé, il capolavoro di Romain Gary,
fa parte di quei libri che sconvolgono l’equilibrio affettivo del lettore.

Yann Queff
élec

A trent’anni di distanza dalla sua prima edizione, la Biblioteca Neri Pozza pubblica questo capolavoro della letteratura francese contemporanea.

È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l’esistenza è vista e raccontata con l’innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».

Gary ha incarnato il mito stesso della seduzione.

Livres Hebdo